COMUNICATO STAMPA
La conclusione della procedura di accertamento della morte cerebrale ha decretato la tragica dipartita della nostra collega Barbara Capovani.
A dieci anni dalla violenta aggressione ai danni di Paola Labriola, uccisa da un utente nel servizio territoriale di Bari dove lavorava, la Psichiatria assiste, ancora, sgomenta alla perdita di una professionista sul luogo di lavoro.
Nell’esprimere il nostro cordoglio ai familiari della dottoressa, vogliamo in questo momento essere vicini anche agli operatori della salute mentale che, in tutta Italia, attraverso le reti formali e informali, hanno condiviso il dolore per questa tragedia, che non deve rimanere inascoltato.
Perché non dobbiamo assuefarci a eventi di questo tipo e considerare l’aggressione nei confronti del personale sanitario come un ineluttabile dato di fatto.
Il lavoro terapeutico e assistenziale in psichiatria, basato sulla relazione tra persone e sulla continua interazione con la sofferenza dell’altro, comporta un carico emozionale straordinario, che necessita di risorse e condizioni logistico-organizzative adeguate all’aumento, cui assistiamo, delle richieste di aiuto e della complessità dei bisogni emergenti da un contesto sociale in continuo cambiamento.
La crescita esponenziale di bisogno di salute mentale si accompagna un progressivo e silenzioso smantellamento di quell’organizzazione, pur imperfetta, che è nata nei due decenni che hanno seguito l’applicazione della Legge 180. Con una perdita importante di risorse umane e il mancato avvicendamento delle nuove leve, si assiste a un impoverimento dei servizi pubblici senza precedenti negli ultimi anni, che riduce la capacità di risposta dei dipartimenti di salute mentale, già in seria difficoltà.
La Società Italiana di Psichiatria ha più volte invocato la necessità di mezzi adeguati ed evidenziato le criticità del modello attuale di assistenza psichiatrica, maturato in un’epoca e in un tessuto sociale differenti, e che attualmente si trova a gestire nuovi profili di gravità.
È il caso delle problematiche dei pazienti psichiatrici autori di reato, di cui la psichiatria si trova a subirne la delega, con personale sempre più esiguo e nella disattenzione delle amministrazioni, dovendo fornire risposte sulla gestione integrata e l’attuazione di programmi condivisi con i vari attori in gioco (circuiti penitenziari, tribunali, dipartimento per le dipendenze patologiche, servizi sociali). Servono percorsi che conferiscano dignità al lavoro dello psichiatra e una nuova centralità ai nostri servizi, che si cimentano con questi pazienti su un terreno difficile.
Prevenire gli atti di violenza nei confronti degli operatori sanitari in psichiatria deve divenire un altro degli obiettivi principali e urgenti dell’agenda, per ridurre le condizioni di rischio attraverso protocolli operativi integrati con le forze dell’ordine e il sistema delle emergenze-urgenze. Occorre intraprendere iniziative di informazione e formazione, e sensibilizzare le aziende sanitarie ad adottare protocolli di sicurezza specifici per ogni situazione di rischio, che sostengano effettivamente gli esercenti le professioni sanitarie.
Evidenti i limiti delle risorse, certo e concreto il rischio professionale dell’operare in psichiatria, indiscutibile il bisogno di sicurezza, intendiamo sollecitare alle Istituzioni una progettazione di ampio respiro, che riguardi l’assetto organizzativo e strutturale della salute mentale e che ne salvaguardi la sicurezza degli operatori. Per prevenire, in definitiva, lo stigma nei confronti dei nostri pazienti, evitare che i luoghi di cura della salute mentale, impoveriti e indeboliti, perdano la loro vocazione al dialogo e all’inclusione.
La Società Italiana di Psichiatria, che rappresenta da 150 anni tutti gli psichiatri italiani e, per il tramite delle sue sezioni speciali, tutti gli operatori della salute mentale, chiede pertanto un incontro urgente con il Ministro della Salute, perché gli intenti comuni non si esauriscano nella commemorazione del fatto di cronaca lasciandoci inermi di fronte al dolore.
3 risposte a “In ricordo di Barbara Capovani, perchè non succeda più”
Non poteva non succedere.
Lo sapevamo e continuiamo a rischiare perché non possiamo scegliere.
Lo sapevano e continuano a non rischiare perché possono scegliere: chi può decidere un’altra politica sanitaria e giudiziaria semplicemente non lo fa.
Sbaglio o non fare qualcosa che può evitare un fatto, un orribile fatto equivale ad averlo provocato?
Esprimo sentite condoglianze a nome mio e della Caritas di Roma, ai familiari e ai colleghi di Barbara Capovani e la preghiera a Dio padre misericordioso per lei, i suoi cari e quanti operano per non far mancare le necessarie cure preventive e l’assistenza dovuta a quanti vivono il dolore e le preoccupazioni derivanti dai problemi in forte aumento di salute mentale. Uno stato civile che mette al centro la persona una rafforza e non indebolisce la rete di servizi indispensabili peraprevenzione e la cura di questo complesso tipo di malattie. Giustino Trincia direttore Caritas di Roma
Sono dispiaciuta.per l accaduto e condiviso il pensiero per il fatto di venire in aiuto agli operatori che lavorano con i malati psichiatrici.